Animali e Ambiente

Foreste europee e clima: l’importanza della scelta delle specie arboree

Le foreste europee coprono poco più del 30% del territorio continentale e sono considerate alleate fondamentali nella lotta al cambiamento climatico. Uno studio pubblicato su Nature Communications, guidato dall’ETH di Zurigo e al quale ha partecipato, per l’Italia, l’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di Perugia  (Cnr-Isafom) all’interno del progetto Europeo Horizon Europe “ForestNavigator”, mostra che più alberi e più foreste non comportano necessariamente un clima più fresco.

Il lavoro integra aspetti biogeochimici (assorbimento di carbonio) con quelli biofisici (riflettività, evaporazione e scambi di calore), in modo da disegnare strategie più efficaci per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, ed evidenzia come in molte regioni europee, l’espansione forestale possa talvolta contribuire al riscaldamento locale invece che al raffreddamento. È il caso, ad esempio, delle foreste di conifere che, avendo una chioma più scura, assorbono una quantità di energia solare maggiore rispetto a pascoli o campi coltivati. Questo minor riflesso della radiazione solare riduce l’effetto rinfrescante legato all’evaporazione.

Siamo abituati a pensare alle foreste come soli serbatoi di carbonio”, spiega Alessio Collalti responsabile del Laboratorio modellistica forestale del Cnr-Isafom di Perugia, coautore dello studio e responsabile scientifico del Cnr all’interno del progetto. “Ma il loro effetto sul clima è più complesso: oltre a catturare CO₂ atmosferica, le foreste influenzano la temperatura dell’aria e la sua umidità così come la riflettività della superficie terrestre”. Per indagare queste dinamiche, il team di ricerca ha utilizzato il modello climatico regionale COSMO-CLM2, simulando il clima europeo tra il 2015 e il 2059 in diversi scenari di gestione forestale. Confrontando l’afforestazione, cioè il processo con cui vengono piantati alberi in aree dove non era originariamente presente alcuna forma di foresta, e la riforestazione tradizionale con scenari di conversione delle conifere in latifoglie, ha scoperto che la scelta delle specie può modificare in modo significativo la risposta climatica del territorio.

I risultati sono chiari: sostituire le conifere, come pini e abeti, con latifoglie, come faggio o quercia, può ridurre la temperatura media massima giornaliera di luglio fino a 0,6 °C su larga scala”, spiega Collalti, quando la conversione è combinata con nuove piantagioni, il riscaldamento previsto di +0,3 °C può trasformarsi in un raffreddamento di –0,7 °C. Una differenza di pochi decimi di grado può sembrare minima, ma durante le ondate di calore può fare la differenza in termini di salute pubblica, stress agricolo e domanda energetica. Questi risultati hanno implicazioni dirette per le politiche climatiche europee ed evidenziano che strategie di forestazione (sia afforestazione che riforestazione), come l’iniziativa europea che prevede di piantare 3 miliardi di alberi in più nell’UE entro il 2030, dovrebbero superare la logica puramente quantitativa e considerare quali specie piantare e dove, poiché non tutte le foreste apportano gli stessi benefici climatici. Riconsiderare la composizione delle foreste europee non è semplice, prosegue il ricercatore, richiede pianificazione a lungo termine, nuovi approcci gestionali e un coordinamento tra politiche europee e nazionali. Ma i benefici potenziali, maggiore resilienza, biodiversità e capacità di raffreddamento, rendono questo cambiamento una priorità.

In un’Europa che si riscalda sempre di più, lo studio dimostra che la scelta delle specie giuste è fondamentale per una buona gestione: “Le foreste sono attori attivi del sistema climatico, capaci di amplificare o mitigare il riscaldamento a seconda di come vengono gestite”, conclude Collalti.

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