Commercio digitale, in Italia ancora tanti limiti
Meglio soltanto di Bulgaria e Polonia: è questa la fotografia, a tinte grigie, che viene scattata sullo stato della “digitalizzazione” delle imprese italiane e, in particolare, sulle performance delle vendite online. Come rivelano gli ultimi dati dell’Eurostat, infatti, il nostro Paese vive una situazione di scarsa attenzione verso le potenzialità dell’eCommerce, con tante aziende presenti in Rete che però presentano un’offerta strutturata in maniera poco proficua.
Lo scenario italiano
A rendere così complessa la competizione sono una serie di fattori, e di certo pesa anche il ruolo giocato dai grandi “marketplace” a livello globale: Amazon, eBay o Alibaba – per fare esempi internazionali – rappresentano la soluzione immediata per tanti acquirenti italiani, mentre restando soltanto nelle dinamiche del nostro Paese sono i siti più “storici” e grandi a farsi strada. È il caso di portali come Onlinestore, una sorta di grande “centro commerciale” che si sta imponendo nella distribuzione di elettrodomestici e prodotti di elettronica grazie a una offerta sempre crescente sia in termini qualitativi che quantitativi; importante, per la diffusione del marchio, anche la possibilità di utilizzare un codice sconto Onlinestore del 4% che permette di risparmiare sul prezzo degli acquisti, un fattore che serve a motivare gli eShopper a preferire questo sito anziché altri.
Aziende italiane poco dinamiche
Per la precisione, a fronte di quasi tre imprese su quattro con più di dieci dipendenti che hanno attivato un sistema di vendite online, soltanto il dieci per cento rivela di aver ricevuto ordini. Si tratta di due dati inferiori alla media europea, che invece è rispettivamente del 77 per cento di aziende che è in possesso di portale o app per l’eCommerce e del 16 per cento sul versante degli ordini.
Dati inferiori alla media Ue
Queste cifre non soltanto sono molto basse, ma restano in pratica ferme da due anni: la quota di imprese che punta in maniera decisa e strategica sull’eCommerce era del 12 per cento nel 2010, poi ha raggiunto il 16 per cento nel 2014 ed è rimasta ferma a quella soglia. Un segno evidente dell’incapacità di cogliere quella che invece è una grande opportunità, che – come rilevato dall’Eurostat – “potrebbe offrire alle imprese la possibilità di espandersi oltre i confini nazionali, raggiungendo clienti indipendentemente dalla loro posizione geografica”.
Poca espansione
Ancora più difficile è il percorso di espansione verso l’estero da parte delle aziende: il 97 per cento delle imprese europee ha come “sbocco” prevalente delle proprie vendite il mercato interno al proprio Paese, mentre una quota inferiore alla metà (il 44 per cento) riesce a “espatriare” in altri stati della Comunità Europea e soltanto il 25 per cento riesce a superare i confini del Vecchio Continente.
Più attenzione verso l’estero
In questo ambito, almeno, le società italiane sembrano avere una vocazione più internazionale rispetto ai competitor continentali: la media di aziende tricolori che riesce a vendere in Europa è del 55 per cento, mentre il 35 per cento del totale possiede un’app o un sito con cui fa transazioni verso Paesi non comunitari, anche per supplire a mancanze di richieste sul fronte interno.