Scienza e Tecnologia

Italia al 4° posto in UE per numero di trials clinici condotti

Roma, 1 luglio 2025 – L’Italia si colloca al quarto posto nell’Unione Europa per numero di trials clinici condotti dall’inizio del 2022 ad oggi.

In totale ammontano a 2.674 mentre il primo posto a livello continentale spetta alla Spagna (con 3.500) seguita da Francia (3.362) e Germania (2.831). Dati abbastanza positivi, nonostante l’Italia sia una nazione che investe ogni anno solo 2,860 miliardi nella ricerca biomedica rispetto ai 22 miliardi investiti complessivamente in ricerca e sviluppo generale (solo 1,3% del Pil).

Ed occupiamo infatti il 18° posto tra i Paesi Europei e siamo anche tra gli ultimi al mondo. Appena il 39% del totale di queste risorse arriva da finanziamenti pubblici mentre 1,3 miliardi proviene da aziende farmaceutiche (soprattutto per le sperimentazioni cliniche). E’ questo il quadro di luci ed ombre emerso oggi durante un convegno promosso a Roma da FOCE (ConFederazione Oncologi, Cardiologi ed Ematologi).

“Il nostro Paese rappresenta da anni un’eccellenza nel campo della ricerca medico-scientifica – afferma il prof. Francesco Cognetti, Presidente FOCE -. Esistono tuttavia diversi problemi strutturali sui quali bisogna intervenire al più presto. Oltre alla cronica insufficienza di finanziamenti vi è una forte mancanza di personale specializzato in questo particolare settore e quindi abbiamo bisogno di data manager, infermieri di ricerca, bioinformatici, ricercatori. Ancora troppo lunghi risultano i tempi di approvazione per le sperimentazioni e vi è la necessità di velocizzare sia le procedure autorizzative che le approvazioni da parte dei Comitati Etici. Tutto ciò si riflette anche in un forte calo della sperimentazione indipendente, cioè quella slegata dall’azienda del farmaco. Emblematico in questo senso è l’oncologia dove ormai solo il 20% degli studi su nuove molecole contro il cancro è no profit mentre il restante 80% è sponsorizzato. Infine abbiamo l’assoluta urgenza di rendere poi disponibili il prima possibile ai pazienti tutti i vantaggi e le novità apportati dalla ricerca clinica. A questo riguardo occorre osservare che i tempi complessivi dell’accesso dei pazienti ai nuovi farmaci sono attualmente troppo lunghi, anche superiori a 500 giorni dall’approvazione EMA anche per il passaggio dei prontuari terapeutici regionali. Prioritario deve essere anche accelerare al massimo tutti i passaggi soprattutto per i farmaci innovativi e orfani ed anche eliminare i terapeutici regionali e questo porterebbe ad un azzeramento dei tempi di accesso a livello locale che rappresentano un vero vulnus all’articolo 32 della Costituzione. Purtroppo non aiuterà certo AIFA la composizione del nuovo Comitato Etico Nazionale per le sperimentazioni cliniche relative alle terapie avanzate e ad alta innovatività (terapie geniche e cellulari, prodotti di ingegneria tissutale e medicinali di terapie avanzate combinate). Infatti per quel che riguarda gli indici bibliometrici ed il grado di attinenza e appropriatezza della specifica esperienza professionale e clinico-scientifica, i suoi attuali componenti mostrano valori nettamente inferiori rispetto al Comitato precedente”.

“Quantomai nei momenti di crisi economica serve ottimizzare le risorse, evitare gli sprechi e fare in modo che la ricerca clinica risponda subito ai reali bisogni di conoscenza e di salute di milioni di pazienti – sottolinea Giuseppe Ippolito, Professore International Medical University in Rome -. In altre parole bisogna ridurre la quantità della ricerca duplicativa, o che produce risultati non utilizzabili. In un contesto di risorse limitate vanno poi evitate duplicazioni di finanziamenti agli stessi soggetti da parte delle istituzioni pubbliche. Serve anche una maggiore coordinazione dal momento che spesso organismi diversi, sia pubblici che privati, non sono a conoscenza dei rispettivi progetti, di reti e di accordi di programma. “La ricerca biomedica in Italia produce un numero elevato di pubblicazioni anche di buona qualità ma la ricerca traslazionale italiana attrae purtroppo pochi finanziamenti in termini di venture capital – aggiunge Sergio Abrignani, Professore Ordinario di Patologia Generale dell’Università di Milano -. Le aziende farmaceutiche italiane svolgono una grande produzione ed esportazione di farmaci d’estrazione chimica di vecchia generazione e pochissima ricerca ed innovazione, tranne le dovute eccezioni, su prodotti biologici per la medicina di precisione (anticorpi monoclonali, proteine ricombinante, farmaci a rna messaggero). Inoltre il nostro problema più importante è quello del trasferimento tecnologico dalla ricerca allo sviluppo preclinico, e successivamente alla ricerca clinica di fase precoce. A questo riguardo un ruolo maggiore come avviene in altri Paesi Europei potrebbe essere svolto da una maggiore promozione di questo settore da parte della filantropia. In oncologia anche in Italia la collaborazione pubblico-privato negli ultimi anni ha portato allo sviluppo di nuovi trattamenti innovativi come, per esempio, l’immunoterapia che ha cambiato radicalmente la pratica clinica in alcune neoplasie”.

“La ricerca medica in Italia risulta quanto mai frammentata sia a livello di finanziamento che di attività – prosegue il prof. Cognetti-. Ciò rende ancora più difficile portare avanti o a termine sperimentazioni o studi spesso di ottimo livello. Sono complessivamente attivi sull’intero territorio nazionale ben 54 Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico-IRCCS sui quali deve vigilare il Ministero della Salute. Vi è stato un lieve aumento dei finanziamenti pubblici nel 2024 che sono saliti a 179 milioni di euro rispetto ai 172 del 2022. Lo scorso anno però non abbiamo registrato un incremento dei trials condotti e dei pazienti coinvolti che si attestano rispettivamente a 7.421 e 61.887. Inoltre nuove strutture sanitarie richiedono il riconoscimento come IRCCS e sono in procinto di essere riconosciute. Si corre il rischio concreto di avere sempre più centri a gestire minori risorse finanziarie ed umane. Bisogna prevedere requisiti minimi e in base a questi stabilire e confermare le procedure di accreditamento. Molti IRCCS conduco pochissimi o nessun studio clinico. La qualità della loro attività scientifica, in accordo con i parametri bibliometrici internazionalmente riconosciuti, è assolutamente insufficiente in circa la metà di essi. Non è assolutamente possibile continuare ad incrementare con nuovi riconoscimenti il numero degli IRCCS lasciando praticamente invariato il finanziamento complessivo e quindi senza dismettere gli IRCCS meno produttivi. Un sistema di questo genere inevitabilmente danneggia gli IRCCS più produttivi, le cui performance scientifiche, infatti, negli ultimi anni stanno diminuendo sensibilmente. E’ un vero peccato perché i nostri ricercatori hanno contribuito con i loro studi al progresso della ricerca, soprattutto nel settore dell’oncologia clinica dove sono state apportate modifiche alle linee guida e raccomandazioni utilizzate in tutti i Paesi”.

“Accanto agli IRCCS, gli enti pubblici di ricerca (EPR) contribuiscono in maniera importante alla ricerca biomedica italiana, soprattutto nell’ambito della ricerca traslazionale e preclinica, sia in termini di pubblicazioni scientifiche che di trasferimento tecnologico – sostiene Luisa Minghetti, Direttore Coordinamento e Promozione della Ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità -. Una maggiore integrazione degli EPR nel sistema della  ricerca biomedica e la disponibilità di piattaforme nazionali possono dare un nuovo impulso alla ricerca, aiutando a superare la frammentarietà del nostro sistema di ricerca e favorendo l’ innovazione tecnologica. In quest’ottica, l’Istituto Superiore di Sanità, unico EPR vigilato dal Ministero della Salute, può svolgere un ruolo importante’.

“La ricerca deve mettere a disposizione dei pazienti tutti i vantaggi possibili in termini di sopravvivenza e qualità della vita – prosegue Rosanna D’Antona, Presidente di Europa Donna Italia -. Questo non sempre avviene in Italia, soprattutto non in modo uniforme sull’intero territorio nazionale. I farmaci innovativi infatti non sempre sono subito disponibili in tutti e 21 i sistemi sanitari, anche a causa dei prontuari regionali. Ci troviamo, specie per i farmaci salvavita, di fronte a forti diseguaglianze di accesso, come da anni ribadiamo nel nostro “Manifesto TSM”, dove al punto 3 chiediamo che vengano accelerati i processi di approvazione dei farmaci, affinché siano prescrivibili più rapidamente per garantire a tutte le pazienti le medesime opportunità”.

“Il livello d’eccellenza dell’oncologia italiana è testimoniato anche dalla sopravvivenza a cinque anni per tutte le forme di cancro – prosegue Cognetti -.  Attualmente si attesta a 59% per gli uomini e 65% per le donne ma quanto questi sensibili progressi possono durare in assenza di interventi concreti?  La ricerca in oncologia si sta concentrando sull’utilizzo delle terapie innovative e dei test molecolari. Una maggiore conoscenza del DNA consente un nostro migliore approccio alla diagnosi e alla terapia di molte malattie tumorali”. “Come in oncologia anche in ematologia stiamo andando sempre di più nella direzione della medicina di precisione – Paolo Corradini, Past President Società Italiana di Ematologia-SIE -. Le cure sono più personalizzate e incentrate sul singolo caso di tumore del sangue e più in generale la loro efficacia è decisamente migliorata nel corso degli ultimi anni. Diagnosi e terapie hanno subito una grande innovazione e ci consentono nella maggioranza dei casi una guarigione del paziente. Tutto questo è stato possibile anche grazie alla continua ricerca clinica che deve però proseguire per trovare nuovi e ancora più mirati trattamenti”.

“Le patologie cardio, cerebro e vascolari rappresentano ancora oggi la causa di morte numero uno in Italia – sostiene Ciro Indolfi, Presidente della Federazione Italiana di Cardiologia – con importanti differenze tra il Nord e il Sud. Solo da un punto di vista economico nel nostro Paese si stimano costi diretti per 42 miliardi di euro all’anno per le malattie cardiovascolari ai quali vanno poi aggiunti quelli indiretti nonché ovviamente le sofferenze e le difficoltà per pazienti e caregiver. Nonostante l’angioplastica coronarica abbia ridotto significativamente la morte per infarto, le malattie ischemiche del cuore nell’uomo e nella donna sono la principale causa di morte poiché il 50% di questi pazienti muore precocemente di morte improvvisa prima di potersi ricoverare. E’ necessario quindi potenziare la ricerca nel campo delle malattie cardiovascolari che oggi, anche grazie all’intelligenza artificiale e ai nuovi farmaci disponibili, potrebbe portare l’Italia ad un rischio cardiovascolare basso come le vicine nazioni di Francia e la Spagna”.

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